43 anni dall’attentato a Della Chiesa: la lotta alla criminalità organizzata non accetta esclusioni
Il sindaco di Palermo Roberto Lagalla: “A chi considera questi momenti semplici rituali, rispondiamo con l’impegno quotidiano. Perché la memoria, se non è azione, è complicità”Era il 3 settembre 1982, quando con la strage di via Carini a Palermo la mafia tolse la vita al prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e alla moglie Emanuela Setti Carraro, ferendo gravemente l’agente di scorta Domenica Russo, che morì qualche girono dopo.
Della Chiesa iniziò a indagare su Cosa Nostra nel 1966, anno nel quale divenne colonnello comandante della Legione Carabinieri di Palermo; nel 1982 venne nominato dal Consiglio dei ministri anche prefetto della città con l'incarico di contrastare l’organizzazione criminale. Si insediò precisamente il 30 aprile, giorno dell’omicidio di Pio La Torre, uno dei nomi che raffiguravano tra quelli che avevano sostenuto la sua nomina. Con il suo incarico si sperava che si sarebbero potuti ottenere brillati risultati contro Cosa nostra, gli stessi che l’uomo in passato aveva conquistato contro le Brigate Rosse. Tuttavia a Palermo la situazione si rivelò molto diversa, non ancora pronta a debellare l’azione criminale mafiosa, ancora troppo infiltrata nelle realtà commerciali e in quelle politiche.
A quarantatré anni di distanza, la memoria dell’attentato al prefetto rimane, per l’intero Paese, un importante monito alla responsabilità e al comune impegno nella lotta alla mafia. Il suo esempio di lotta contro la presenza dell’organizzazione illecita è stato un modello per molti uomini e donne della Magistratura, delle Forze dell'ordine, delle pubbliche amministrazioni che lo hanno seguito. Un gesto concreto si manifestò già nel giorno dei funerali che si tennero nella chiesa palermitana di San Domenico, con la protesta della folla contro le presenze politiche, accusate di avere lasciato solo il generale. Sul luogo della strage venne poi posizionato un lenzuolo che riportava la scritta: “Morta la speranza dei palermitani onesti”.
“Ricordare il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa non è solo un dovere civico, è un atto politico e morale. È la scelta consapevole di non accettare l’oblio, di non lasciar vincere il silenzio su chi ha provato a disarmare la violenza con il senso dello Stato. Il generale Dalla Chiesa resta una delle figure più limpide della nostra Repubblica. La sua vita non ci parla solo di legalità, ci parla di giustizia. E la giustizia, a differenza della legalità, non è mai neutra. Sta sempre da una parte: quella dei cittadini, quella della verità, quella delle istituzioni che sanno cosa vuol dire servire e non servirsi. Oggi, nel suo nome, siamo chiamati a chiederci se stiamo facendo abbastanza, se le nostre città sono davvero ostili alla criminalità organizzata. A chi considera questi momenti semplici rituali, rispondiamo con l’impegno quotidiano. Perché la memoria, se non è azione, è complicità. Carlo Alberto Dalla Chiesa è stato un uomo che ha pagato il prezzo più alto per non voltarsi dall’altra parte. Sta a noi, ogni giorno, dimostrare che egli, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, uccisi nell’agguato di 43 anni fa, non sono morti invano”, ha dichiarato in occasione dell’anniversario il sindaco di Palermo Roberto Lagalla.

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