Timore e allerta in aumento: cosa provoca l’escalation in Medio Oriente sul territorio italiano
Le autorità si stanno occupando di innalzare il livello della sicurezza sulle basi USA, di proteggere l’economia del Paese e di non compromettere i propri rapporti con l’esteroL’escalation della crisi in Medio Oriente e il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti in Iran stanno mettendo l’Italia in stato di massima allerta. Sebbene il ministro della Difesa Guido Crosetto abbia escluso già il 19 giugno l’invio di soldati o aerei italiani a bombardare l’Iran, evidenziando l’impossibilità costituzionale, ma soprattutto la mancanza di volontà, la Penisola italiana non rimane esclusa dal conflitti; i rischi per il nostro Paese si concentrano su altri fronti: la sicurezza interna, la protezione dei militari all'estero e le ripercussioni economiche.
Le autorità italiane hanno provveduto a innalzare al massimo il livello di sicurezza attorno a obiettivi sensibili, sedi diplomatiche e luoghi rappresentativi dei Paesi coinvolti nel conflitto. Questa misura, già attiva dall’inizio della crisi, è stata ulteriormente rafforzata con particolare attenzione per le basi americane presenti sul territorio italiano, come quelle di Aviano (Friuli-Venezia Giulia) e Sigonella (Sicilia). Si sono svolte ulteriormente in questi giorni riunioni del Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA) e del Comitato Nazionale Ordine e Sicurezza Pubblica (CNOSP) al Viminale.
Per le basi USA aumenta il pericolo di poter diventare bersaglio di attacchi terroristici. Inoltre, anche se Aviano e Sigonella sono basi NATO e soggette alle regole dell’Alleanza Atlantica, la presenza di circa 12mila militari americani distribuiti in vari siti, come Camp Darby in Toscana, Vicenza, Gaeta e Napoli, richiede la massima cautela.
Le misure di sicurezza coinvolgono pure l’intensificazione della sorveglianza degli obiettivi sensibili americani, la tutela dell’’ambasciatore statunitense in Italia e la sensibilizzazione dei servizi in atto per gli eventi pubblici, come la seconda giornata del Giubileo dei governanti. Per giunta, l’attenzione si è alzata attorno al’area del Vaticano. Attualmente, in Italia, sono oltre 29mila i siti sottoposti a vigilanza, tra cui più di 10mila infrastrutture critiche; di questi, circa un migliaio riguardano specificamente interessi statunitensi e israeliani.
Per prevenire “danni collaterali”, sono stati riposizionati i militari italiani impegnati in missioni di pace all’estero, specialmente in Medio Oriente e sono state rafforzate le misure di sicurezza. Alcuni militari italiani presenti a Baghdad, ad esempio, sono stati fatti rientrare via Kuwait a causa del rischio di ritorsioni contro le basi con presenza americana. I contingenti più esposti rimangono quelli in Iraq e Kuwait, circa 1.100 uomini, e in Libano, dove circa i militari sono parte della missione UNIFIL delle Nazioni Unite.
Ulteriore impatto grave per l’Italia potrebbe essere di natura economica. Se si arrivasse al blocco dello Stretto di Hormuz, passaggio cruciale per quasi un terzo del commercio mondiale di petrolio e un quinto del gas naturale liquefatto, seguirebbe un aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia, con ripercussioni significative su aziende e famiglie, l’aumento dei costi di produzione e trasporto, e un impatto negativo su inflazione e potere d’acquisto. Il coinvolgimento diretto degli USA può compromettere le delicate relazioni del Paese con alcuni Stati arabi e del Nord Africa, come l’Algeria per il gas, l’Iraq per il petrolio e la Tunisia per i migranti, che hanno posizioni più “estremiste” sulla questione israelo palestinese.
Mentre l’Italia si impegna a rimanere fuori da un coinvolgimento militare diretto, il contesto geopolitico attuale impone una vigilanza costante e strategie per mitigare i rischi legati alla sicurezza interna, alla protezione dei propri militari all’estero e alle prevedibili conseguenze economiche e sociali.
Monica Martini

USA - Militari - Israele - Guerra
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