Quando lo sviluppo economico dimentica l’umanità
Dalle recenti scelte governative arrivano alcuni segnali preoccupantiDue documenti governativi stanno suscitando in questi giorni aspre polemiche: uno è il Piano strategico nazionale delle Aree Interne, approvato dal Ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e per il PNRR ,Tommaso Foti, nel mese di marzo 2025 ma reso pubblico solo adesso e l’altro è il decreto del Direttore generale Spettacolo (rep. n. 741 del 27 giugno), che regola l’ammissione al triennio 2025-2027 e all’annualità 2025 dei principali Festival nazionali. Due provvedimenti che in apparenza sono molto distanti per l’ambito tematico, ma che a ben vedere sono accomunati dalla stessa vision politico-culturale. Il primo documento distingue quattro tipologie di obiettivi, nella prospettiva di rafforzare le condizioni delle Aree Interne, in funzione delle condizioni di partenza delle realtà locali. Il quarto di questi obiettivi lascia sconcertati: Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile. Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita.
Una parte considerevole delle are interne diventerebbe così un enorme Hospice per malati terminali. Prendo in prestito questa imagine dal poeta-paesologo Franco Arminio, uno degli ispiratori della SNAI ( Strategia Nazionale delle Aree Interne), nel 2013, perchè rende bene la disumanità del documento ministeriale. Siamo arrivati alle cure paliative, a considerare meritevole di abbandono tutto ciò che viene considerato improduttivo, non attrattivo per i grandi investitori, per il business internazionale. Eppure ci sono tanti altri valori da tenere in considerazione per le aree interne, oltre la valorizzazione economica: identità, natura, tenuta idrogeologica del territorio, relazioni, appartenenza ai luoghi. Arminio ha parole molto dure nei confronti del Piano Strategico appena reso pubblico: Siamo entrati nell’economia di guerra. Armi contro welfare, autoritarismo contro diritti. È iniziata la caccia agli sprechi, per raschiare il barile delle casse pubbliche. È iniziata la caccia a chi togliere risorse economiche, per convertirle alla guerra. Si comincia indebolendo le politiche di coesione territoriale e si finisce per attaccare il welfare. Si comincia con i territori e si finisce con le persone. Ma bisogna farlo con argomenti neutri, tecnici, e bisogna colpire chi ha meno voce, perché non si alzi la protesta. Il secondo documento, il decreto del Direttore generale Spettacolo (Ministero della Cultura) che assegna i contributi ai principali Festival italiani, avrebbe escluso dai finanziamenti 29 festival storici, attivi da anni e sostenuti nei passati trienni (14 festival multidisciplinari, 8 festival di danza e 7 festival di teatro). Una scelta che rischia di avere conseguenze gravi: si stima la perdita di 50 mila di giornate lavorative, con un impatto diretto su artisti, tecnici e operatori – in particolare i più giovani – e un danno economico per tutto l’indotto legato ai festival. Molti addetti ai lavori obiettano che la commissione ministeriale preposta all’assegnazione dei contribute abbia tenuto conto di parametri quantitative e non qualitativi nella valutazione dei festival.
Ritroviamo in questo documento lo stesso principio ispiratore del Piano Strategico per le Aree Interne: come ci sono territori “utili” e altri considerati ormai “inutili”, così c’è una cultura utile e una cultura considerata inutile. Naturalmente la cultura “utile” è quella che genera economia: indotto, crescita e consenso. E’ quella che stacca molti biglietti. Tutto il resto non conta. Anche in questo caso sono ignorati i valori: la sperimentazione, l’innovazione, l’inclusione, la ricerca. Un processo, tuttavia, che è partito già negli anni Novanta, con l’idea di far fruttare musei e altri beni culturali organizzando a ciclo continuo concerti e mostre, facendoli diventare location per feste e matrimoni. Ne è conseguita una vera e propria proliferazione di economisti della cultura e manager culturali che da anni escogitano sistemi di valutazione degli investimenti sempre più improntati ai soli aspetti economici e quantitativi.
I nuovi parametri per ottenere il contributi del Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo per il triennio 2025-2027 chiedono agli operatori culturali e ai teatri di produrre e ospitare spettacoli che costino poco e incassino molto, marginalizzando la sperimentazione. . Non è solo un attacco alla cultura indipendente, ma una vera e propria provocazione contro la diversità delle comunità che la generano, al chiaro impegno politico e alla posizione etica esplicita ha scritto Salvatore Papa sul magazine Zero qualche giorno fa.
La responsabilità della situazione in cui ci troviamo, però – prosegue Papa - va ricercata in tutta la politica culturale da molti anni a questa parte, al suo immobilismo, al suo favorire comunque sempre la quantità rispetto alla qualità. […] C’è bisogno però anche di autocritica. Bisogna essere onesti fino in fondo e farsi delle domande su come si è agito finora, su quale sia stato l’atteggiamento diffuso di accettazione, di prudenza.
C’è davvero bisogno di autocritica nel mondo della cultura: la responsabilità di questa deriva pericolosa è, infatti, riconducibile in egual misura alla Destra e alla Sinistra: i provvedimenti di oggi non sono che l’ultima conseguenza di un processo di “mercantilizzazione” della cultura cominciato oltre trent’anni fa, cui hanno ampiamente contribuito ministri del PD come Franceschini. Il mondo della cultura italiano, che teme da sempre di perdere il favore dei mecenati di turno, pubblici o privati, oggi più che mai si sente spaesato, smarrito. Giustamente, ne ha ben ragione. Ma dovrebbe reagire in modo coeso, determinate, senza fare le solite distinzioni di campo, le solite graduatorie di “puri” e meno puri, i soliti tentativi di sparare sui compagni di viaggio, perchè in questo desolante panorama si può ben dire Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

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