Sono decenni che gli scienziati si interrogano su un paradosso apparentemente inspiegabile, ovvero quello che coinvolge molte isole vulcaniche; nonostante quest'ultime si trovano nel mezzo degli oceani, presentano rocce con una composizione geochimica tipica dei continenti. La domanda che gli esperti si pongono è: “Come può esserci materiale continentale in isole isolate lontane dai margini delle placche tettoniche?”. Un team internazionale guidato dall’Università britannica di Southampton e dal Centro tedesco per le geoscienze GFZ Helmholtz di Potsdam ha finalmente avanzato una risposta convincente, pubblicata su Nature Geoscience, che potrebbe per la prima volta fare chiarezza su questo enorme interrogativo. Secondo lo studio, sembrerebbe che quando un continente si frammenta, non sono solo le parti in superficie a staccarsi, ma anche quelle da basso, e ciò può avvenire su distanze molto maggior di quanto si pensasse. Alla sua base si genera un’onda di instabilità, che si propaga lungo la base a profondità di circa 150 e 200 chilometri e “strappa” lentamente porzioni delle radici cristalline continentali. Questi frammenti vengono poi trasportati lateralmente per distanze superiori a 1.000 chilometri nel mantello oceanico, alimentando eruzioni vulcaniche. Il professor Sascha Brune, coautore dello studio, ha affermato: “Abbiamo scoperto che il mantello sta ancora risentendo degli effetti della rottura dei continenti molto tempo dopo che i continenti stessi si sono separati. Il sistema non si spegne quando si forma un nuovo bacino oceanico: il mantello continua a muoversi, riorganizzarsi e trasportare materiale arricchito lontano da dove ha avuto origine”. Si capisce così come i movimenti del mantello possano arrivare addirittura a modificare la morfologia della superficie terrestre, rimanendo coinvolti nelle cosiddette eruzioni di diamanti, causa della risalita delle pietre preziose in superficie.