“Fare la scarpetta” è un’espressione profondamente italiana che simboleggia l'atto di raccogliere a fine pasto il cibo, come il sugo, che rimane nel piatto con un pezzo di pane. Considerato segno autentico di apprezzamento verso la pietanza consumata e nei confronti di chi l'ha cucinata, questo gesto è parte integrante della cultura culinaria del Paese e rientra pure nel Galateo delle buone maniere se applicato in contesti informali.
La prima attestazione della locuzione, secondo il GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana), sembrerebbe essere comparsa per la prima volta nell’italiano scritto nel 1987: “Fulco Pratesi, 53 anni, architetto, gira per Roma in bicicletta, fa il bagno non più di una volta alla settimana e non usa nemmeno tovaglie a pranzo per risparmiare acqua, predica persino la civiltà del ‘fare scarpetta’ per limitare i cambi di stoviglie durante il pasto”. Tuttavia, attestazioni precedenti emergono già nel diciannovesimo secolo: nel 1871 sulla rivista “La Frusta” in romanesco (“Famme fa la scarpetta a ‘sto tantino de sugo”) e successivamente nel 1885 all'interno del “Prontuario di parole moderne” di Angelico Prati, che definisce la scarpetta con le parole “fare il ritocchino, pulire il piatto con un pezzetto di pane dopo avervi mangiato”.
Essendo numerose le interpretazioni sull’origine del termine, per alcuni il termine sembrerebbe derivare dalla forma dal pane nel momento che viene usato per raccogliere il cibo, in quanto simula vagamente una scarpa; per altri si potrebbe definire una sorta di metafora fra la calzatura che striscia per terra e trascina ciò che trova e la fetta di pane che raccoglie il sugo rimasto nel piatto. L'ipotesi però più probabile è quella che rimanda l'etimologia della parola al dialetto siciliano/napoletano “scarsetta”, consiglio che spinge a non sprecare nulla.
Quello che un tempo era un gesto da fare tra famigliari e amici, oggi è diventato elemento di creatività professionale. I grandi chef italiani, sempre più spesso, cercano di reinterpretare piatti umili come la bruschetta, la panzanella, la pappa al pomodoro e i sughi avanzati, trasformandoli in vere proposte gourmet.
Ecco alcuni esempi concreti:
- a Napoli, la pizzeria I Vesuviani, fondata dai fratelli Federico e Francesco De Maria, propone la scarpetta - crema di quattro pomodori campani (San Marzano DOP, datterini caramella, pomodorini del Piennolo del Vesuvio DOP, cuore di bue), ricotta di bufala, parmigiano reggiano, basilico, olio evo accompagnata da tre fette di “pane cafone”;
- al Jumeirah Capri Palace, di Franco Pepe, l'iconica scarpetta (mozzarella di bufala campana, fonduta di Grana Padano, composta di pomodoro cruda fredda, pesto di basilico e scaglie di Grana) è rientrata tra i piatti dell'anno per Identità Golose;
- gli chef Chicco Cerea e Alfonso D’Auria offrono ai loro clienti pietanze interamente dedicate alla scarpetta, rendendole omaggio con eleganza e innovazione.
La scarpetta è molto più di un’abitudine culinaria: è un simbolo che racchiude la storia di una popolazione, che è giusto far scoprire anche ai visitatoti interessati alla cultura italiana. Dal suo umile inizio nelle cucine di casa fino ai ristoranti di classe, la scarpetta si definisce come un piccolo semplice gesto che celebra il cibo.