Italia - Il fenomeno del mismatch caratterizza sempre di più il mondo del lavoro italiano

Dai “nativi digitali” che non accontentano le abilità richieste, ai laureati sovra-qualificati poco valorizzati, nel sistema occupazionale non si colma il divario tra offerta e domanda

Monica Martini 07/11/2025 11:21

In Italia lavoro e istruzione si distinguono per essere caratterizzati da una doppia contraddizione strutturale: da un lato i giovani, pur essendo educati fin da piccoli a vivere in un mondo tecnologico, non possiedono una volta cresciuti e formati le competenze digitali che il mercato occupazionale richiede; dall’altro, una forza lavoro più preparata ed esperta spesso non riesce a essere collocata all’interno di un sistema produttivo capace di valorizzare adeguatamente il livello delle competenze conseguite. Secondo un’analisi della Fondazione Adapt, il 31,4% degli under-30 nella nostra penisola non raggiunge le competenze tecnologiche di base necessarie per l’occupazione, contro il 24% della media europea. Questo mette in luce un paradosso che vede i cosiddetti “nativi digitali” privi delle abilità operative e cognitive più richieste dal mercato del lavoro moderno, come programmare in modo algoritmico, controllare la gestione di strumenti digitali e comprendere l’intelligenza artificiale. Il risultato è che quasi un lavoratore under-35 su quattro svolge una mansione che non ha niente a che vedere con il proprio titolo di studio. Questo gap evidenzia come sia sempre più necessario riscrivere almeno in parte i percorsi formativi offerti dalle scuole, adottando un approccio più pratico e orientato alle realtà lavorative, in quanto tali modelli risultano ancora troppo legati alla teoria. Tra il 2011 e il 2022 il livello medio di istruzione dei lavoratori italiani è aumentato; secondo uno studio della Area Studi Legacoop in collaborazione con Prometeia, la media degli anni di istruzione è passata da 11,3 a 12,6 anni. Il costo del disallineamento tra formazione e occupazione in Italia rimane però ancora pari — facendo riferimento al 2023 — a circa 43,9 miliardi di euro, ovvero circa il 3,4% del PIL nei settori analizzati.
È innegabile come questo fenomeno rischi di scoraggiare ulteriormente le nuove generazioni, in particolare chi desidera formarsi nel campo dell’innovazione tecnologica, per paura di non trovare un posto di lavoro in grado di risaltare queste capacità nel modo giusto. A risultare particolarmente penalizzate, oltre ai giovani, sono le donne, visto come il divario di genere nei salari si aggrava proprio nei casi di eccesso o deficit di qualifiche. Rimane fondamentale in tutti gli ambienti scolastici, quindi, promuovere una formazione permanente con aggiornamenti continui sulle competenze digitali e le soft-skills, e che dall’altro canto le imprese non si fermano e investano in processi produttivi sempre più evoluti, che valorizzino le competenze dei loro lavoratori.

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