Nel mondo della musicologia, a partire dal Seicento al centro di riflessioni e discussioni si trova la questione del deposito, luogo in cui si accumulato grandi quantità di opere, che finiscono per non essere esposte al servizio della collettività, spesso a causa dei limiti strutturali o della conservazione preventiva. Indiscussi capolavori vengono conservati nei depositi diventando impossibili inaccessibili. Basti pensare a come nei grandi musei le opere esibite ricoprono circa solo il 5% della loro collezione; l’esposizione permanente infatti rappresenta solo una minuscola porzione della riserva invisibile custodita all’interno delle istituzioni. Questa regola vale in tutto il mondo; l’Italia no fa eccezione, in quanto la maggior parte dei suoi musei occupano edifici storici, che presentano diversi vincoli riguardo gli spazi preesistenti e non consentono l’esposizione di tutti i dipinti e delle sculture. Artisti, collezionisti e fondazioni si trovano a donare le opere d’arte in loro possesso ai musei, sia per motivazioni legate agli eventuali benefici fiscali sia perché i luoghi di cultura sono considerati gli unici posti in grado di garantire una conservazione adeguata. La conseguenza inevitabile è così la crescita sempre più ampia del materiale all’interno dei depositi. I musei per raggiungere un compresso spesso decidono di rendere accessibili al pubblico le opere più importanti a rotazione, finendo per conservare e non far uscire mai dai depositi quelle di nicchia. Con il fatto che tante opere famose non siano visibili viene spontaneo interrogarsi sull’utilità dei musei. Le risposte possono essere molteplici. Per alcuni curatori, le priorità principali rimangono la conservazione e la ricerca; archiviare centinaia di creazioni di un artista vuol dire solo proteggere l’arte. Sono i nuovi musei e quelli più piccoli a intraprendere una strada diversa, che si concentra sui desideri del pubblico. Inoltre è innegabile constatare che i costi per l’archiviazione e la conservazione sono molto onerosi da sostenere. La soluzione più scontata sembrerebbe quella di vendere le opere archiviate a quelle strutture che possiedono posto per ospitarle e per metterle in mostra. Tuttavia la questione non è così semplice, in quanto per questioni di politica museale, la maggior parte delle istituzioni non può vendere o dare via gli oggetti di cui sono di fatto proprietarie. Questo dipende dal fatto che per molte associazioni per gli scambi tra musei la vendita è vietata. È nel 1976, che per la prima volta un museo, quello etnografico della British Columbia University di Vancouver, ha progettato un deposito completamente accessibile ai visitatori. Questa proposta poi è stata presa come esempio da diverse altre realtà museali. Il caso più eclatante è il Depot Boijmans inaugurato a Rotterdam nel 2021, che ha trasferito il deposito del museo Boijmans Van Beuningen che espone soltanto il 7% delle opere dell’intera collezione, all’interno di un nuovo contesto sicuro, dopo che nel 1999 era stato vittima di un’importante inondazione.