“Il Canto degli Italiani”, meglio conosciuto come Inno di Mameli, si è ritrovato in questi giorni al centro di una controversa novità istituzionale. Su disposizione di un decreto presidenziale, firmato lo scorso 14 marzo su proposta della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ora attuato, nelle esecuzioni ufficiali dell’inno nazionale del Bel Paese dovrà essere omesso il grido celebrativo “Sì!” che conclude il canto dopo il verso “l’Italia chiamò”. Secondo la direttiva trasmessa dallo Stato Maggiore della Difesa, contenuta nel “foglio” dello Stato Maggiore della Difesa del 2 dicembre scorso (n. MDA0D32CC REG20250229430), durante gli eventi istituzionali e le cerimonie ufficiali sarà vietato pronunciare l’esclamazione finale, tradizionalmente parte nell’immaginario collettivo. Il provvedimento mira ad adeguare l’esecuzione dell’inno alla versione “originaria” del testo, facendo riferimento a determinate fonti storiche. Nel manoscritto firmato da Goffredo Mameli infatti non compare il “Sì!”, mentre è presente nello spartito musicale originale di Michele Novaro, che è stato quello che le bande a partire dall’Ottocento hanno adottato. L’esecuzione dell’inno. che verrà eseguito da ora in poi, prende come riferimento quella del 1961 con il tenore Mario Del Monaco, dove effettivamente nel brano, dopo i versi “siam pronti alla morte / l’Italia chiamò” segue solo musica, senza l’esclamazione finale. Per alcune persone, che hanno analizzato questa scelta con occhio critico, la versione scelta contrasta con la prassi consolidata e con l’esperienza popolare del canto, spesso scandita da migliaia di voci, ad esempio negli stadi e nelle manifestazioni civili.