Italia - L’Italia, nonostante il blocco alle autorizzazioni, continua a inviare armi in Israele

Le licenze per le esportazioni concesse prima del 7 ottobre risultano ancora ora valide. Per fermarle servirebbe un esplicito stop politico, che per ora non è arrivato

Monica Martini 12/09/2025 11:56

Il 5 settembre, a margine del Forum di Cernobbio, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ribadito ancora una volta come l’Italia non stia più inviando armi a Israele: “Dal 7 di ottobre di due anni fa, abbiamo sospeso tutti i contratti”. Già nell’ottobre dello scorso anno, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante un dibattito nato in Senato, aveva dichiarato con fermezza che “dopo l’avvio delle operazioni a Gaza il governo ha sospeso immediatamente ogni nuova licenza di esportazione”, aggiungendo come “la posizione italiana del blocco completo di tutte le nuove licenze è molto più restrittiva di quella applicata dai nostri partner, Francia, Germania, Regno Unito: noi abbiamo bloccato tutto”. Dall’altro canto però i fatti evidenziano una realtà diversa. Infatti nonostante l’Italia abbia bloccato le licenze per le esportazione verso l’Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, non ha fermato e cancellato anche tutte le precedenti autorizzazioni, con le quali sono state effettuate diverse spedizioni. Le esportazioni di armamenti dall’Italia destinate all’estero, secondo la legge n. 185 del 1990, devono essere approvate dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento (UAMA) del Ministero degli Esteri. La stessa normativa fissa precisi vincoli al commercio di armi, che non devono essere vendute – salvo deroghe – a Paesi in guerra o che violano le convenzioni internazionali. Nell’ultima relazione, che ogni anno il governo è tenuto a inviare al Parlamento riportando dati e informazioni sulle esportazioni di armamenti autorizzate, viene sottolineato il fatto che fra i dati del 2024 “non appare Israele perché – come noto – le caratteristiche dell’intervento israeliano su Gaza in reazione al criminale assalto condotto da Hamas il 7 ottobre 2023 hanno indotto l’autorità nazionale UAMA a non concedere nuove autorizzazioni all’esportazione ai sensi della legge n. 185/1990”. Si tratta di una precisione riportata anche all’interno della relazione dell’anno precedente. Fino a prima dell’attacco avvenuto nell’autunno, nel corso del 2023, il valore delle esportazioni militari verso Israele aveva raggiunto la somma di 9,9 milioni di euro. Giorgia Meloni ha precisato nel passato: “Tutti i contratti firmati dopo il 7 ottobre non hanno trovato applicazione. Le licenze di esportazione verso Israele che invece erano state autorizzate prima del 7 ottobre sono state tutte analizzate caso per caso dall’autorità competente - l’UAMA - applicando la normativa italiana, europea e internazionale”. Riferendosi alle licenze rilasciate prima del 7 ottobre, è stato spiegato: “Il governo effettua una valutazione caso per caso. Laddove c’è il rischio che questo materiale sia impiegato nella crisi in atto, non procediamo, mentre lo facciamo quando siamo certi che il materiale non possa essere utilizzato”. Di fatto dalla penisola, dopo il 7 ottobre 2023, sono partiti verso Tel Aviv numerosi sistemi d’arma e tecnologie militari tra cui droni, radar e componenti per uso bellico. Già solo tra gennaio e febbraio di quest’anno sotto la categoria generica di “armi, munizioni e loro parti e accessori” dall’Italia sono partite armi dirette a Israele per ben oltre 128mila euro, di cui solo 47.249 rilevati dall’Istat. A riportarlo è un’analisi, effettuata dall’Istituto Iriad di Archivio Disarmo, sulle esportazioni italiane costruita incrociando i dati del Sipri, dell’Istat e della Relazione del governo sull’export di armamenti, elaborata dall’Istituto Iriad di Archivio Disarmo. Secondo il database COEWEB, invece nell’intero 2024 le esportazioni hanno raggiunto un valore totale di 5,8 milioni di euro, escludendo le voci relative ad esempio ai mezzi di trasporto e ai prodotti informatici, in quanto non rientrano nella categoria delle armi, ma a fini pratici possono comunque essere usate in contesti bellici. Solo l’11% delle spedizioni, inoltre, risulta classificato, poiché molto spesso “la quasi totalità dell’export” di armi e munizioni avviene “senza dettaglio pubblico”, rispettando le clausole di “segretezza” consentite dalla legge 185/1990.

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