Italia - Trattativa Stato-mafia, la Corte d'assise d'appello assolve i carabinieri e Dell'Utri

Palermo, ribaltata la sentenza di primo grado: in appello i giudici riducono la pena al boss Bagarella, condannato il capomafia Cinà

Redazione 24/09/2021 09:17

La Corte d’assise d’appello di Palermo sul processo per la presunta trattativa Stato-mafia ha assolto tutti gli imputati principali ribaltando così la sentenza di primo grado: i giudici hanno assolto i carabinieri Mori, De Donno e Subranni. Stessa sentenza anche per Marcello Dell’Utri. In merito ai boss mafiosi, è stata confermata in appello la condanna a Cinà, prescritte le accuse a Brusca e pena ridotta per Leoluca Bagarella.
 
La sentenza della Corte d'assise d'appello
La sentenza della Corte d'assise d'appello di Palermo arriva dopo due anni e mezzo di dibattimento. Sentenza che è stata pronunciata secondo i principi che il presidente Pellino aveva delineato nel 2019, nel corso della prima udienza. "Può accadere che in un processo che riguarda fatti molto eclatanti la riscrittura di un pezzo di storia di un Paese sia un effetto inevitabile dei temi trattati e del lavoro delle parti processuali che hanno concorso a scavare nei fatti - le parole del presidente - ma lo scopo del processo d’appello è verificare la tenuta della decisione di primo grado sotto la lente d’ingrandimento dei motivi d’appello. Gli imputati non sono archetipi socio-criminologici, bensì persone in carne e ossa che saranno giudicate per ciò che hanno o non hanno fatto, se si tratta di reati. Questo è l’impegno della corte, e mi sento di rassicurare le parti".
 
La sentenza di primo grado
Il 20 aprile 2018 la Corte d'assise in primo grado aveva stabilito che la minaccia allo Stato avanzata da Cosa nostra con le stragi del 1992 e del 1993 era stata "veicolata" da uomini delle istituzioni rafforzando quindi quanto voluto dai boss. Da una parte i carabinieri del Ros, gli ex generali Antonio Subranni e Mario Mori, e l’ex colonnello Giuseppe De Donno; poi la figura dell'ex senatore Marcello Dell’Utri, che dal ’94 avrebbe veicolato il messaggio mafioso al nuovo governo con Silvio Berlusconi. Chiamato dai difensori di Dell'Utri a deporre, l'ex premier si è poi avvalso della facoltà di non rispondere poiché indagato nel procedimento connesso sui mandanti occulti delle stragi del 1993.
 
La sentenza di primo grado aveva visto gli imputati tutti condannati: Mori e Subranni a 12 anni di carcere come dell’Utri, De Donno a 8, il boss Leoluca Bagarella (28 anni) e 12 anni per il medico legato a Cosa nostra Antonino Cinà. Tra gli imputati compariva anche un altro politico, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, che ha scelto il rito abbreviato ed è stato assolto "per non aver commesso il fatto" in tutti i gradi di giudizio.
 
La differenza tra i due verdetti
La prima sentenza che ha dichiarato colpevoli i vertici del Ros aveva la seguente motivazione: per i giudici la proposta di "trattativa" dei carabinieri a Ciancimino ebbe l’effetto di "far sorgere o quantomeno consolidare il proposito criminoso risoltosi nella minaccia formulata nei confronti del governo della Repubblica sotto forma di richieste di benefici, al cui ottenimento i mafiosi condizionavano la cessazione delle stragi".
Per i giudici della Corte d'assise d'appello, invece, l’iniziativa del Ros fu "un’operazione info-investigativa di polizia giudiziaria, realizzata attraverso la promessa di benefici personali al Ciancimino di assicurare, ove possibile, le richieste nell’esclusivo interesse di Ciancimino stesso; tale operazione si proponeva, mediante la sollecitazione a un’attività di infiltrazione in Cosa nostra del predetto Ciancimino, che ne avrebbe dovuto contattare i capi, il fine della cattura di Totò Riina, interrompendo così la stagione delle stragi".

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