Quello della Palestina è un tema che da anni si trascina dietro a un mondo che corre sempre più veloce, e che a volte dimentica questioni mai risolte in maniera completa. Situazioni che, alla lunga, esplodono — che piaccia o meno. Così è successo con la Palestina.
Le manifestazioni del 22 settembre hanno visto una larga partecipazione della popolazione italiana e una forte adesione allo sciopero indetto da diversi sindacati. Settantacinque città italiane hanno visto folle gremite di manifestanti partecipare attivamente, in gran parte in maniera pacifica.
Qualche episodio di violenza, purtroppo, c’è stato — come a Milano, dove si è verificato un assalto alla stazione di Milano Centrale. La violenza non è mai giustificata, e questi episodi vanno a macchiare una protesta che aveva come parola d’ordine “pace”. L’attenzione era già stata calamitata con la sola voce, con le sole parole: mezzo necessario per trasmettere il significato profondo di questa manifestazione.
Appunto, pace. Una parola semplice, che ogni essere umano vorrebbe vedere trasformata in un atto concreto. Eppure, una situazione del genere è stata dipinta da alcuni come “ipocrisia” o “moda”. Prima c’era l’Ucraina, e tutti con la bandiera dell’Ucraina; oggi è la Palestina, e tutti con la bandiera della Palestina — questo è il pensiero di molti. Spesso, però, ci si dimentica che il comun denominatore di tutto questo ha un nome ben preciso: guerra.
No, non è mai stata moda. Non è mai stata ipocrisia. Scendere in piazza per la Palestina, così come lo era per l’Ucraina, significa scendere in strada per tutte le popolazioni piegate dai conflitti. Oggi sono l’Ucraina e la Palestina; chi ci dice che tra qualche anno non toccherà a nazioni più vicine a noi?
Tra gli aspetti che hanno colpito maggiormente di questa manifestazione c’è stata l’enorme partecipazione giovanile. Spesso si è parlato di una nuova generazione disinteressata al mondo che la circonda, più attenta al proprio terreno. Ecco, lo sciopero di ieri ha dimostrato l’esatto contrario. Quella di ieri è stata una presa di coscienza potente: “diritti umani”.
In un mondo che troppo spesso è stato vittima dell’egoismo, questa grande partecipazione è un bel messaggio per il futuro. Perché non è ipocrisia. Non è moda da social. È solo la voglia di trasformare la parola “pace” in un atto concreto.