Italia - Blackout iberico: il déjà vu italiano

Spagna e Portogallo al buio come noi 22 anni fa: quali insegnamenti per il futuro?

Monica Fissore 29/04/2025 18:42

La notizia del blackout che ha avvolto Spagna e Portogallo ha risvegliato nella memoria collettiva italiana (quella degli over 30) un ricordo lontano, ma ancora vivido: quella notte tra il 27 e il 28 settembre del 2003, quando il buio della notte divenne buio per davvero.
 
Allora, come oggi nella penisola iberica, l’interruzione elettrica paralizzò città, infrastrutture e la quotidianità di milioni di persone. Eppure, le similitudini si fermano a questa improvvisa sospensione della normalità, perché il contesto e le dinamiche di questi due eventi, distanti oltre vent’anni, offrono spunti di riflessione profondi sul nostro rapporto sempre più simbiotico con l’energia elettrica e la tecnologia.
 
Se il blackout italiano fu un evento notturno, quasi un sussulto improvviso nel sonno del Belpaese, quello iberico si è consumato in pieno giorno, nel fervore di una giornata lavorativa. Un dettaglio non trascurabile che acuisce la portata dell’impatto sulle attività produttive, sui trasporti e, in definitiva, sull’economia. Le immagini di Madrid e Lisbona paralizzate, con metropolitane bloccate, aeroporti nel caos e la comunicazione digitale interrotta, richiamano alla mente le scene di panico vissute a Roma durante la prima edizione della Notte Bianca nel 2003. Tuttavia, la luce fioca dei cellulari che guidava i passeggeri intrappolati nelle gallerie della metro madrilena è un simbolo potente di come, in questi ventidue anni, la tecnologia mobile sia diventata non solo uno strumento di comunicazione, ma un vero e proprio cordone ombelicale con il mondo esterno, la cui improvvisa assenza genera un senso di isolamento ancora più marcato.
 
Le cause dei due blackout sono ben distinte. Se nel 2003 un banale, per quanto fatale, incidente – la caduta di un albero su una linea ad alta tensione in Svizzera – innescò un domino di guasti dovuto anche a una gestione non ottimale della crisi, per l’evento iberico le ipotesi rimangono aperte. Si parla di un raro fenomeno atmosferico, di guasti di sincronizzazione nella rete europea, ma non si è escluso, almeno nelle prime ore, la possibilità di un attacco cyber. 
Questa incertezza sulle origini del blackout spagnolo è essa stessa un segnale dei tempi. Nel 2003, la minaccia di un attacco informatico su infrastrutture critiche non era percepita con la stessa urgenza e concretezza di oggi. Il mondo è cambiato radicalmente: la nostra dipendenza dalla rete, dai sistemi digitali e, di conseguenza, dalla fornitura continua di energia elettrica è aumentata in modo esponenziale.
 
Ventidue anni fa, un blackout notturno, pur creando disagi significativi, ebbe un impatto economico contenuto, perchè si era verificato in un fine settimana. Oggi, un’interruzione prolungata dell’energia elettrica in un giorno lavorativo rischia di paralizzare settori interi, con conseguenze economiche ben più gravi. La digitalizzazione ha reso le nostre società più efficienti e interconnesse, ma al tempo stesso più vulnerabili a un’interruzione di quella linfa vitale che è l’elettricità.
 
L’esperienza italiana del 2003, con la sua genesi apparentemente “semplice”, ci insegnò la fragilità di un sistema energetico troppo dipendente dalle importazioni e la necessità di investire in infrastrutture più resilienti e in una maggiore autonomia produttiva, con un occhio sempre più attento alle fonti rinnovabili.
 
L’eco del blackout spagnolo e portoghese, con le sue incognite sulle cause, ci ricorda che la sfida è oggi ancora più complessa. Non si tratta solo di garantire una produzione e una distribuzione efficiente dell’energia, ma anche di proteggere le nostre reti da minacce esterne, siano esse fenomeni naturali estremi, errori umani o, peggio ancora, azioni malevole nel cyberspazio.
 
Mentre la Spagna e il Portogallo faticano a tornare completamente alla normalità, con la Galizia ancora alle prese con disagi ferroviari e una parte della rete telefonica non ancora pienamente operativa, l’Italia osserva con attenzione, consapevole di aver già vissuto un’esperienza simile. Forse, al di là della curiosità o del vago ricordo, dovremmo cogliere questo evento come un monito, un’occasione per riflettere sulla nostra crescente dipendenza da un’infrastruttura invisibile ma cruciale, e sulla necessità di investire costantemente in sicurezza e sulla diversificazione delle fonti, per evitare che un’ombra improvvisa possa nuovamente paralizzare il nostro presente e il nostro futuro.

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