Italia - Afghanistan: incontro segreto tra direttore CIA e capo talebani

Di cosa hanno discusso lunedì Burns e Baradar: piano di evacuazione e nuovo governo talebano in Afghanistan

Redazione 25/08/2021 10:56

 
Il direttore della CIA William Burns ha incontrato lunedì in Afghanistan il capo talebano Baradar. I due hanno discusso il piano di evacuazione e forse di altre questioni. 
Dell’incontro non si è saputo nulla fino a ieri.
 
Gli accordi 
Il direttore della Cia William Burns ha incontrato in segreto lunedì a Kabul il capo dei talebani Abdul Ghani Baradar, che la Cia aveva fatto arrestare in Pakistan nel 2010, dove era rimasto in prigione per otto anni.
Trump aveva liberato Baradar nel 2018, per negoziare con lui l’accordo di Doha sul ritiro dall’Afghanistan, deciso in un incontro ufficiale col segretario di Stato ed ex direttore della Cia Pompeo.
È vero che in guerra bisogna parlare con i nemici, per far tornare la pace, però la missione di Burns, oltre a confermare che il canale tra gli Usa e i protettori di al Qaeda è rimasto sempre aperto, pone l’interrogativo sulle future mosse delle due controparti. In altri termini ci si interroga su quali saranno gli obiettivi di Washington e se sarà inevitabile un nuovo scontro, che impatto avrà questo scontro sui delicati equilibri in Asia centrale e se riusciranno ad approfittarne i terroristi.
 
Il portavoce taleban: "Chiediamo a Usa di smettere di evacuare afghani qualificati"
Il direttore CIA americano è andato a discutere i dettagli dell’evacuazione, ricevendo il no dei taleban a prorogarla oltre il 31 agosto, anche perché i pericoli per la sicurezza non vengono solo da loro, ma anche da terroristi che i talebani non riescono a controllare, come l’Isis. Alcuni afghani potranno quindi continuare ad uscire dopo il 31 agosto, ma senza un’estensione ufficiale. 
Il collegamento diretto tra USA E talebani esiste almeno dall’invasione dell’Afghanistan nel 2001, quando l’amministrazione Bush rifiutò la loro offerta di trattare la resa, perché era convinta di poterli sgominare per sempre: «Gli Usa - aveva risposto il capo del Pentagono Rumsfeld - non sono inclini a negoziare rese». Circa vent’anni dopo al tavolo delle trattative si era seduta l’amministrazione Trump, che aveva mandato a Doha il suo inviato Khalilzad per discutere proprio con Baradar il ritiro. 
Ne era nato l’Agreement for Bringing Peace to Afghanistan firmato il 29 febbraio 2020, che l’ex comandante delle truppe Usa Allen aveva bocciato così: «I taleban non sono credibili; la loro dottrina è irriconciliabile con la modernità e i diritti delle donne. Il così detto accordo non solo non verrà onorato da loro, ma non porterà la pace».
 
La gestione dell’evacuazione dei profughi afghani
Biden però è riuscito ad andare oltre, convinto che nemmeno l’intervento militare protratto nel tempo avrebbe portato alla pace.  Quindi i canali sono rimasti aperti. Khalilzad è a Doha, dove lo ha raggiunto il collega del dipartimento di Stato Salman Ahmed, mentre il comandante a Kabul, l’ammiraglio Peter Vasely, ha parlato ogni giorno con i taleban per gestire le partenze, aiutato dall’ex ambasciatore John Bass. La missione di Burns ha cambiato la dinamica, proiettandola oltre l’evacuazione.
Il capo della Cia, sorpreso dalla caduta di Kabul mentre era in viaggio in Medio Oriente, aveva avvertito il Congresso che al Qaeda e Isis non hanno la forza di organizzare attacchi negli Usa, ma «con il ritiro la nostra abilità di agire sulle minacce diminuirà». Quindi aveva assicurato che l’intelligence avrebbe conservato «una serie di capacità» per proteggere l’America, già esistenti sul terreno o da sviluppare. Questa ora è la sua missione principale.
 
I programmi sul nuovo governo dei talebani
I talebani hanno promesso di formare un governo inclusivo, ma nessuno ci crede, anche se parlano con l’ex presidente Karzai. Baradar e la guida suprema Akhundzada saranno al potere e hanno già nominato il capo dell’intelligence e i ministri di Interni e Finanze, oltre al governatore della banca centrale Haji Mohammad Idris. Ciò basta a capire che i soldi sono importanti, e rappresentano l’ultima leva rimasta agli Usa. Il potere economico e finanziario degli USA va inserito nel grande gioco per il controllo dell’Asia centrale, dove resta da vedere se Washington riuscirà a lavorare con Pechino e Mosca per la stabilità, e per applicare l’accordo con Teheran.

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